ROBERTO MANIA

Giovanni Pitruzzella si è presentato così nelle nuove vesti di presidente dell’Antitrust: sulla rotta aerea RomaMilano c’è quasi sicuramente una posizione dominante dell’Alitalia, ma prima di decidere come ricostruire le condizioni di concorrenza per gli operatori ci vorrà più o meno ancora un anno. Peccato che ne siano già trascorsi tre, quelli che per legge hanno sospeso le regole del mercato affinché Colannino e i “patrioti” potessero strappare all’”invasore” francese la nostra fallita ex compagnia di bandiera. Il biglietto per andare dalla Capitale a Milano e viceversa continua ad essere carissimo e l’Alitalia continua ad avere i conti in rosso. Per questo l’ad Rocco Sabelli ha deciso di abbandonare la scialuppa, invocando oligopoli, però, e non più competizione. Ecco il caso Alitalia, o lo scandalo Alitalia. Simbolo di un intreccio perverso tra affari e politica, ma pure della fragilità del nostro sistema delle authority di controllo, nominate dalla politica, poco indipendenti e molto lottizzate.
Dove la tutela dei consumatori finisce per essere una variabile dipendente dagli equilibri dei grandi lobbisti, anziché la ragione dell’esistenza stessa delle autorità. Dovrebbero essere la sponda naturale perché le liberalizzazioni diventino efficaci, penetrino nella cultura della comunità, plasmino i rapporti tra produttori, fornitori di servizi e consumatori. Invece, spesso, le authority italiane scompaiono dietro i commi delle norme, i formalismi giuridici, gli opportunismi politici, le timidezze di tecnici (non tutti proprio competenti) sedotti dalle luci della ribalta, che sempre più spesso coincidono solo con qualche scialba apparizione nei salotti televisivi.
Essere membro o presidente di un’authority sta diventando anche una professione. Si passa da una poltrona a un’altra, senza pause di riflessione, semplicemente cambiando casacca. Si va da un’authority al governo (Antonio Catricalà), oppure dal governo a un’authority (Giuseppe Vegas), o, ancora, da un’authority a un’azienda controllata dal governo (Lamberto Cardia), o, infine, dal parlamento (qui l’elenco è lungo, basta leggere alcuni curricula dei membri dell’Autorità per le telecomunicazioni) direttamente a un consiglio di un’authority, come se fosse fisiologico, come se da controllato si possa diventare controllore (e viceversa), senza che ciò possa suscitare qualche perplessità, per non dire dei possibili potenziali conflitti di interesse. Porte girevoli, si direbbe. D’altra parte Antonio Calabrò, presidente dell’Autorità delle telecomunicazioni, era il presidente del Tar del Lazio davanti al quale possono essere impugnate le decisioni dello stesso organismo. Sulla carta è vero niente di male. Ma qualche dubbio di opportunità, in un paese che non brilla di certo per trasparenza, è lecito averlo. E chissà se il premier Mario Monti pensasse anche a questi strani, intricati, legami quando nell’intervista a Time ha detto che in Italia «c’è molto lavoro da fare nel rimuovere gli impedimenti strutturali, molti dei quali sono legati all’eccessivo potere dei gruppi di interessi connessi ai poteri pubblici». Chissà.
Ancora Pitruzzella, costituzionalista e avvocato di professione. Dal 2006 al 2009 è stato membro della Commissione sugli scioperi nei servizi pubblici essenziali; poi ne è diventato presidente fino a quando (nel novembre dello scorso anno) è stato nominato presidente dell’Antitrust. Ha scritto sul Corriere della Sera Salvatore Bragantini, economista e già membro della Consob (dal 1996 al 2001): «Quali siano le competenze specifiche maturate dal costituzionalista palermitano nel campo degli abusi di mercato, della concorrenza sleale, delle intese lesive della concorrenza, il comunicato che annuncia la nomina non ce lo dice, per una semplice ragione: esse non esistono». Lo hanno sostenuto sul sito www.lavoce.info pure Elisabetta Iossa e Giancarlo Spagnolo: «La nomina lascia a desiderare dal punto di vista della competenza, soprattutto se si tiene conto che in Italia vi sono esperti di antitrust di altissimo livello, sia tra i giuristi che tra gli economisti». Ma a spiegarci perché ora presiede una delle autorità più importanti insieme alla Banca d’Italia e alla Consob, nel settore dell’economia e della finanza, dove l’asimmetria di poteri e informazioni tra aziende e consumatori è davvero marcata, è stato lo stesso Pitruzzella: «L’idea è stata di Schifani». Ecco, appunto. L’uomo che dovrebbe più di altri garantire la competizione, la concorrenza tra operatori senza vantaggi per nessuno, non ha fatto alcuna gara sulla base del curriculum, è stato cooptato. Per antichi legami con il presidente del Senato e con il concorso del presidente della Camera, Gianfranco Fini. Che, d’altra parte, aveva già collocato il “suo” Sergio Santoro alla presidenza dell’Avcp, l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Anche queste sono le authority all’italiana. Così l’ipotesi che, per l’Antitrust, potesse esserci anche la candidatura di Linda Lanzillotta (oggi deputata dell’Api, già ministro per gli Affari regionali nell’ultimo governo Prodi) non è stata nemmeno presa in considerazione. Pare che non dispiacesse a Monti che però non ha potuto che prendere atto del patto sottoscritto a tempo di record tra Fini e Schifani. Hanno deciso i presidenti perché quando nacque la norma esisteva ancora il bon ton istituzionale per cui una delle camere parlamentari andava ad un esponente dell’opposizione. Solo per vicende successive Fini e Schifani si sono trovati su barricate opposte.
Sia chiaro, anche all’estero a nominare i presidenti delle autorità di controllo è la politica. Ma con alcuni paletti, quei check and balance che da noi non sempre funzionano bene. Diego Menegon ha scritto un interessante paper (“Le autorità dinanzi alla crisi”) per l’Istituto Bruno Leoni. I membri della Sec (Security and Exchange commission), cioè della Consob americana, vengono nominati dal Presidente degli Stati Uniti, sentito il parere del Senato. Ogni anno viene nominato uno dei cinque componenti del collegio. «Due – sostiene Menegon sono le caratteristiche che distinguono in modo significativo il modello statunitense da quello italiano. In primo luogo la designazione presidenziale viene sottoposta all’esame di un’assemblea che non è legata da un rapporto fiduciario con il governo e non è neppure composta secondo un criterio rappresentativo». In secondo luogo viene garantita la continuità dell’azione attraverso la prorogatio e il rinnovo annuale e parziale della commissione. Ma c’è un altro aspetto: «Difficilmente il Presidente o il Congresso potrebbero intervenire con atti aventi forza di legge per modificare la disciplina che regola l’azione delle autorità amministrative indipendenti. In America i colpi di mano non hanno modo di accadere frequentemente». Perché anche i “colpi di mano” indeboliscono le autorità (lo è stato il decreto per l’Alitalia, al pari di quello recente con cui Monti ha dimezzato le composizione delle commissioni pur avendo l’obiettivo virtuoso di ridurre la spesa), ma sono possibili proprio perché il ruolo delle authority non è percepito come centrale nei meccanismi di tutela degli interessi dei cittadini.Qualcuno può dire che Vegas sia intervenuto sul caso FonsaiUnipol, incontrando l’ad di Mediobanca, Alberto Nagel, fornendogli utili consigli per confezionare l’operazione, con l’obiettivo principale di tutelare i piccoli risparmiatori? O, invece, l’ex collaboratore di Giulio Tremonti all’Economia ha forse pensato che per un po’ potesse essere lui il nuovo Cuccia dei salotti ormai impolverati?
Uno dei membri della Consob, Michele Pezzinga ha parlato esplicitamente di «iniziativa irrituale». Ma in questa, forse, incide anche il passato di Vegas, uomo di governo e non arbitro. Vegas darà consigli preventivi in tutti i casi in cui per usare una sua espressione ci sia il rischio che «scappino i polli»? Metterà in guardia anche i piccoli azionisti? Vedremo.
Questa mancanza di confini, netti e chiari, è uno dei limiti del nostro sistema di authority. Da noi, per esempio, succede che, per la presenza ancora dello Stato nell’economia, i vertici delle società quotate a controllo pubblico (dalla Finmeccanica all’Eni, passando per l’Enel) siano nominati dallo stesso soggetto (il governo) che poi nomina anche il controllore (il presidente e i commissari della Consob, come dell’Authority per l’energia). Anche questo è il nostro capitalismo.
Con la liberalizzazione dei trasporti arriverà anche l’Autorità di settore. Ma le incognite sono tante. Perché fino a giugno quel ruolo sarà temporaneamente esercitato dall’attuale Authority per l’energia, perché le competenze che le sono state attribuite sono diverse con il rischio di appesantirla fin dalla nascita (dovrà occuparsi delle licenze dei taxi fino alle tariffe autostradali), perché la separazione tra la proprietà della rete ferroviaria e la sua gestione dipenderà da un’indagine che dovrà svolgere la stessa commissione. Eppure c’è una speranza: dopo il governo dei competenti sarà la volta delle Authority indipendenti e anche molto competenti?